Test per intolleranze alimentari della Medicina alternativa
1. Il test leuco-cito-tossico
Questo test si basa sull’analisi della reazione dei leucociti, posti a contatto con gli estratti alimentari, nei confronti dei quali si vuole stabilire l’intolleranza. L’analisi viene effettuata direttamente sulle cellule leucocitarie, mediante un microscopio ottico in campo oscuro.
La metodica seguita per l’esecuzione del test è quella proposta da Bryan e consta delle seguenti fasi:
5 ml di sangue si raccolgono in provetta con anticoagulante (citrato di sodio 3,8 g/L) e si centrifugano a 2000 – 3000 x g per 3’ minuti. Si formano così due fasi: la parte inferiore, contenente i globuli rossi e la parte superiore, contenete il plasma. Nell’interfaccia è presente l’anello leucocitario (buffy coat), sotto forma di sottile strato biancastro. Mediante pipetta Pasteur monouso da 1 mL, si procede alla raccolta di questo anello leucocitario (buffy coat).
Il materiale prelevato si trasferisce in una provetta, contenente da 1,5 a 2,5 mL di acqua (pH: 7, durezza: 27,5 F°) e si diluisce delicatamente con la pipetta.
Singole gocce di tale materiale diluito si pongono a contatto con gli estratti alimentari predisposti sui vetrini.
I vetrini si coprono con gli appositi copri-oggetto da 24×60 mm e si lasciano incubare per 10- 15 minuti.
I vetrini si analizzano ad un microscopio ottico con un ingrandimento finale di 20X e 40X (il 20X viene utilizzato per una visione globale, mentre il 40X per una visione dettagliata).

Dall’osservazione dei leucociti, si attribuisce un diverso grado di reazione nei confronti dell’estratto alimentare secondo la seguente scala:
livello 0 = reazione assente (nessuna alterazione morfologica e strutturale dei leucociti)
livello 1 = reazione lieve (rari danni ai leucociti)
livello 2 = reazione media (leucociti con semplice rigonfiamento cellulare, ma senza lesioni della membrana cellulare)
livello 3 = reazione forte (leucociti con vacuoli e leggere lesioni della membrana cellulare)
livello 4 = reazione molto forte (leucociti fortemente danneggiati con membrana cellulare disgregata e apertura cellulare).

Questi livelli di reazione vengono definiti in base allo stato del leucocita, il quale passa da una condizione normale ad una di rigonfiamento, poi di vacuolizzazione ed infine di rottura, ma anche dalla quantità relativa dei leucociti che hanno reagito rispetto al totale.
Prima di procedere con l’analisi delle reazioni d’intolleranza ai vari cibi, si analizza il vetrino di controllo, sul quale i leucociti sono posti a contatto solamente con i composti usati per l’estrazione degli alimenti.
In questa fase, non solo ci si assicura che le reazioni analizzate successivamente siano specifiche e relative all’alimento, ma si controllano anche la quantità dei globuli bianchi per campo ottico che si andrà ad analizzare (controllo sulla procedura di lavoro), così come lo stato dei globuli bianchi del singolo Paziente.
I vetrini devono essere di altissima qualità, teflonati a 6 pozzetti, per la semplicità di lettura e per una massima precisione.
2. Il test del capello per le intolleranze alimentari
L’analisi del capello viene utilizzata in alcuni laboratori per scoprire la causa di malattie allergiche, ma senza alcuna dimostrazione scientifica.
Questo test esame si utilizza in Medicina Legale per scoprire un recente contatto o un’esposizione tossica a metalli pesanti, ma non ha alcun valore per le malattie allergiche o per una valutazione di tossicità o intolleranza. La presenza di un eccesso di metalli pesanti è stata collegata ad alcune malattie dei bambini, come la sindrome ipercinetica. In alcuni casi, i campioni di capelli del Paziente sono studiati utilizzando le variazioni della frequenza di un pendolo.

In uno studio del lontano 1987 (Sethi TJ, Lessof MH, Kemeny DF et al. “How reliable are commercial allergy tests”. Lancet 1987) sono stati analizzati campioni di sangue e capelli di Pazienti allergici al pesce e di persone sane. Questi campioni, numerati e in doppio cieco, venivano sottoposti al cytotest (test leuco-cito-tossico) e all’analisi del capello. Nessuno dei 5 laboratori consultati è stato in grado di diagnosticare l’allergia al pesce, mentre sono state riscontrate allergie ad altri alimenti, di cui i soggetti non soffrivano. Inoltre, il campione dello stesso soggetto ha dato luogo a risultati diversi nei diversi laboratori e nello stesso laboratorio nelle due valutazioni. Un altro studio, svolto con la stessa metodica dell’analisi del capello, effettuata negli Stati Uniti e che ha coinvolto 13 laboratori commerciali, che dichiaravano la loro metodica come in grado di valutare una varietà di patologie, è giunto alla conclusione che il test non ha alcun valore scientifico (Barrett S. “Commercial hair analysis”. JAMA 1985; 254: 1041).
3. Il test della forza per le intolleranze
Il test DRIA per le intolleranze alimentari è una delle metodiche più note per scoprire le sensibilità al cibo (food sensitivity), che possono favorire disturbi cronici o ricorrenti di vario genere.
Il DRIA test è un supporto alla diagnosi delle intolleranze alimentari: è basato sulla valutazione della caduta della forza muscolare, è un test veloce e non invasivo.
Alcuni comuni alimenti o ingredienti causano uno stato di malessere generale, caratterizzato da alcuni debilitanti sintomi: mal di pancia, gonfiore, pesantezza di stomaco, stanchezza o sonnolenza dopo il pasto, diarrea e alcune volte anche il vomito.
Il test DRIA è una metodologia analitica, non invasiva e del tutto indolore, per evidenziare la presenza di intolleranze alimentari e sensibilità al cibo, diverse da quelle rilevabili con i comuni test allergologici, utilizzati in ambito medico.
Il test DRIA per le intolleranze alimentari si basa su una reazione fisica documentata: la variazione della forza muscolare, quando l’organismo entra in contatto con sostanze non idonee.
Il test riprende i principi di una disciplina chiamata kinesiologia applicata, di cui però cerca di superare i limiti: la soggettività dell’interpretazione dell’Operatore è, nel DRIA test, sostituita dalla lettura computerizzata della performance muscolare del Paziente. Vi sono, tuttavia, altre soggettività che rendono il test non ripetibile.
Il test DRIA prende il nome dal tester dinamometrico Driaton, sul quale viene effettuato e consiste in un sedile a scocca rigida.

Il Paziente, per mezzo di una cinghia fissata a una caviglia, esercita una trazione su una cella di carico, mentre il Medico gli somministra diluizioni standard delle sostanze sospette.
La forza di trazione è visualizzata sullo schermo di un computer; il contatto con una sostanza avversa determina un calo della curva di sforzo. Si tratta in pratica di una “prova di scatenamento”, in cui si valuta cosa avviene nel muscolo, quando l’organismo entra in contatto con la sostanza sospetta.
Il test si basa sull’assunto che, grazie a meccanismi ancora non chiariti nella loro articolazione, documentati da Metzger nel 1989, in presenza di reattività o ipersensibilità ad una determinata sostanza, si determinerebbe una caduta di forza muscolare, quando la sostanza responsabile – alimento o allergene respiratorio – viene posta a contatto della mucosa nasale o sublinguale.
Il DRIA è un test creato da Ricercatori italiani per la determinazione delle intolleranze alimentari. Come gli altri test sulle intolleranze è non convenzionale, ma gli Autori hanno tentato di dargli credibilità, presentando risultati a numerosi Congressi medici, a partire dal 1994. Questi risultati non sono mai stati ripetuti da gruppi indipendenti di controllo.

Il test è stato praticamente accantonato anche dagli stessi ideatori, dopo aver verificato, negli anni, che non c’è stata “la piena accettazione all’interno della comunità medico/scientifica”. Esso è però ricercato da un gran numero di Pazienti, desiderosi di avere risposte ai loro problemi, rivolgendosi alle così dette Medicine alternative, per indagare disturbi attribuiti all’alimentazione.
In realtà, il test DRIA non fa altro che riprendere (con strumentazione opportuna) il test proposto dal kinesiologo Goodheart nel 1964. Già le basi della kinesiologia classica sono poco credibili, ma il test nella sua formulazione originaria era veramente molto rozzo, perché l’Operatore pretendeva di misurare la diminuzione della forza del muscolo deltoide del soggetto, semplicemente contrastando il movimento del braccio, dopo aver somministrato la sostanza da testare. Alla base del DRIA c’è lo sforzo di rendere oggettivo, ripetibile e scientificamente dimostrabile, il riflesso di variazione di forza muscolare, in presenza di un’ipersensibilità alimentare.
Il Paziente è seduto su una sedia, che consenta il mantenimento della posizione corretta; si lega la caviglia a una cinghia, collegata a una cella di carico e a un computer. Si chiede al Paziente di eseguire uno sforzo pari a circa il 50% dello sforzo possibile del quadricipite femorale, dopo avergli somministrato, con modalità sublinguale, alcune gocce del preparato relativo al cibo da testare.

Già questa descrizione sarebbe sufficiente a rigettare il test, in quanto non scientifico. Come può un soggetto normale sapere di spingere con il 50% della propria forza? E, anche ammesso, sarebbe in grado di rifarlo per un tot numero di volte? Quindi se il valore di partenza è sballato e non c’è ripetibilità certa, che senso ha parlare di apprezzamento di variazioni rispetto a questo valore?
Andiamo comunque avanti. Durante la contrazione, si pone a contatto della mucosa orale un’opportuna soluzione di alimento. Si testano di seguito 30-40 alimenti, inalanti, miceti, conservanti, additivi e coloranti. Se il computer registra una caduta di forza (superiore al 10% dello sforzo), che compare pochi secondi (da tre a cinque) dopo la somministrazione dell’alimento, si sospetta la presenza di una ipersensibilità alimentare non IgE mediata, nei confronti dell’alimento testato. Prima di decidere sull’intolleranza, si ripete la prova con lo stesso alimento e la si confronta con un placebo (sicuramente inerte), all’insaputa del Paziente.

I vantaggi del test DRIA, ribaditi dai sostenitori, sono che non è doloroso, non presenta effetti collaterali, dura poco tempo, dai 60 ai 90 minuti, prevede un successivo controllo solo dopo 40-60 giorni e solo sulle sostanze non tollerate o dubbie, fornisce esiti immediati e attendibili.
I risultati e le modalità di gestione delle sensibilità alimentari vengono dettagliatamente illustrati al momento dall’operatore che ha condotto il test DRIA, al contrario di quanto accade con la maggior parte dei test eseguiti in farmacia, dove manca la possibilità di confronto e spiegazioni, dal momento che viene consegnata soltanto una documentazione scritta, spesso peraltro non sufficientemente comprensibile. Inoltre, non interferisce con terapie farmacologiche in corso.
Il DRIA è un test sull’organismo nel suo complesso e non un’analisi di laboratorio su alcuni limitati parametri (anticorpi, indici di infiammazione ecc): è la persona nella sua globalità, con la sua particolare storia alimentare, psicoemotiva ed energetica, a rispondere allo stimolo
Gli svantaggi sono tutti quelli dei test non scientifici: non è sensibile, non è specifico, non fornisce indicazioni sulla tipologia e sulla quantità degli alimenti.
Secondo gli ideatori del test, viene rilevata una caduta del 10% nella forza. Poiché ciò avviene con una frazione di grammo della sostanza assunta dal soggetto sotto la lingua, l’assunzione lenta di 10 g della sostanza stessa dovrebbe produrre evidenti disastri. In realtà ciò non accade. Se la caduta fosse minima, non si capisce come poterla distinguere dagli “errori sperimentali” o dai fattori non voluti, come le vibrazioni della gamba, la stanchezza muscolare, la distrazione ecc.).
Inoltre, per definizione, le intolleranze si distinguono dalle allergie, perché queste ultime dànno una reattività immediata, mentre nelle intolleranze i fenomeni sono “più lenti e insorgono dopo ore o addirittura giorni dall’introduzione dell’alimento”. E ciò è in evidente contrasto con la risposta immediata del DRIA.

Gli svantaggi pratici del Dria test sono legati al fatto che è necessaria la collaborazione del Paziente, perché lo sforzo è volontario e va mantenuto costante per qualche secondo; non è quindi possibile praticare il test sui bambini molto piccoli. Inoltre, per leggere correttamente i tracciati, occorrono esperienza e un buon aggiornamento; la qualificazione necessaria viene garantita da corsi di formazione, curati direttamente dai Centri che eseguono il test.
Come vengono individuate le intolleranze alimentari tramite il test DRIA?
In presenza di alimenti ben tollerati, la forza del soggetto durante il DRIA test si mantiene costante. Invece, quando il corpo viene a contatto con cibi, verso i quali ha sviluppato un’ipersensibilità alimentare, il computer registra una variazione della forza muscolare, percepibile a volte anche dal soggetto stesso, che si accorge di non riuscire a conservare la contrazione del muscolo durante la prova.
La lettura dei tracciati sul computer consente di evidenziare con attendibilità le sostanze nei confronti delle quali la persona presenta un’intolleranza alimentare (food sensitivity).
Cosa succede dopo il test DRIA
L’obiettivo del test DRIA e, più in generale, di ogni test per le intolleranze alimentari, non è escludere totalmente i cibi risultati positivi (scelta obbligata nelle allergie alimentari), ma è invece quello di educare l’organismo a recuperare la tolleranza alimentare perduta, ovviamente minimizzando nel contempo i disturbi manifestati.
Non si procede quindi all’impostazione di una dieta di eliminazione, non priva di rischi per la salute, difficile da gestire nella pratica e anche da sostenere sul piano psicologico, bensì a una specifica e individualizzata rotazione infrasettimanale degli alimenti risultati positivi al test DRIA.
Vengono dunque previsti momenti di astensione dal consumo di tali cibi, alternati, fin da subito, ad altri in cui anche gli alimenti “incriminati” vengono consumati liberamente.
4. VEGA test
Generalità
Il Vega test è un sistema diagnostico di naturopatia, non riconosciuto dalla medicina tradizionale.
Viene utilizzato per svelare eventuali malfunzionamenti di organi (reni, fegato, ghiandole endocrine ed esocrine ecc.) o per identificare delle reazioni avverse agli alimenti.
Il Vega test è il progenitore degli attuali strumenti per la diagnosi di intolleranze alimentari; il suo principio di funzionamento si basa sulla fisica quantistica, una teoria ad oggi non ancora univocamente accettata dalla comunità scientifica.
Fu ideato da Shimmel, anche se le varie “scoperte” basilari, riferite al suo funzionamento, sarebbero imputabili al Medico tedesco Reinhold Voll. Egli, a metà del secolo scorso, si cimentò in quella che viene definita elettro-agopuntura (E.A.V.).
Voll iniziò valutando la carica elettromagnetica delle zone di agopuntura cinese, rispettivamente comunicanti, tramite meridiani fissi: 12, secondo la disciplina classica, più altri 8 che scoprì da sé. Questi meridiani collegano gli organi a punti di grande sensibilità, lasciando correre una specifica corrente elettrica (oggetto dell’analisi). Standardizzando la valutazione, Voll ideò un particolare metodo diagnostico per identificare le eventuali alterazioni di questa carica elettrica; inoltre, intuì che ogni organo avrebbe una particolare frequenza, non riscontrabile negli altri. Applicando delle sostanze su questi punti, il Medico si rese conto che avvenivano reazioni “particolari”; fu così che mise a punto il Test dei Medicamenti.
Solo nel 1976, Shimmel inventò il vero e proprio Vega test.

Come Funziona?
Il Vega test si basa sul funzionamento di un apparecchio elettronico.
Questo strumento, interagendo attivamente e passivamente con l’organismo umano, dovrebbe fornire dei dati su certi disturbi degli organi (pancreas, fegato ecc.) oppure su varie forme di alterata tolleranza ai cibi.
Il Vega test comunica con l’organismo tramite la continuità di un cavo elettrico, all’estremità del quale sono posti due elettrodi; uno si inserisce nello strumento, l’altro viene applicato sulla cute.
Nel Vega test è predisposto un alloggio specifico, nel quale bisogna caricare delle apposite fiale, contenenti un liquido in soluzione. Ad esempio, inserendo la fiala specifica per il fegato ed applicando l’elettrodo in un punto specifico del corpo (sulla pelle), il Vega test ne misurerebbe la bioenergetica e capterebbe eventuali compromissioni di questo organo.
Com’è facilmente deducibile, il Vega test non gode di alcuna attendibilità. Per eliminare qualsiasi dubbio, nel gennaio del 2001, è stata pubblicata una ricerca sperimentale intitolata “Is electrodermal testing as effective as skin prick tests for diagnosing allergies? A double blind, randomised block design study”; lo studio ha concluso che “i risultati delle prove elettrodermiche non correlavano con quelli dei test cutanei. I test elettrodermici non hanno distinto i soggetti atopici e quelli non-atopici. Nessun elemento del dispositivo Vega test era migliore degli altri e nessuno stato atopico di ogni singolo partecipante è stato costantemente diagnosticato”.
Il Vega test non è quindi un metodo efficace per la diagnosi di disturbi agli organi o di varie intolleranze alimentari.
Riferito alla diagnostica delle intolleranze alimentari, il Vega test permette di individuare la compatibilità tra il proprio organismo e alcuni alimenti, accertando se una particolare dieta sia adatta o meno per la specifica persona. Il test si svolge attraverso un’apparecchiatura elettronica, che permette di valutare la risposta dell’organismo ad alimenti.

È utile per comprendere come meglio risolvere varie problematiche, tra cui cefalea, gastriti, coliti, cistiti, vaginiti, ecc.
Ad esempio, le vaginiti ricorrenti da candida sono curate con i tradizionali farmaci, ma contemporaneamente è consigliata la riduzione di alimenti, che facilitano la proliferazione della candida, come zuccheri raffinati e lieviti. Si modifica il proprio piano alimentare e si introducono, in una seconda fase, i probiotici (es. fermenti lattici, ecc.) e gli integratori necessari per migliorare l’alterazione della flora batterica intestinale o la carenza di enzimi digestivi.
Il Vega test aiuta a capire quali alimenti ridurre temporaneamente, ossia per il tempo necessario a riequilibrare il nostro organismo.
La terapia viene consigliata per uno o due mesi. Dopo tale periodo viene rifatto il test per decidere come proseguire con la dieta e terapia.
Come si esegue il Vega test per le intolleranze alimentari?
Il Vega test consiste nella misurazione, non invasiva e indolore, della resistività cutanea del Paziente, in risposta a fiale test, contenenti estratti delle sostanze da testare, nutrienti o allergeni.
Si inseriscono le fiale test in un circuito di misurazione e, tramite l’esercizio di una leggera pressione con un puntale sul dito della mano del Paziente, l’operatore può visualizzare alcuni valori sullo strumento misuratore.

Se si documenta una caduta di energia, in corrispondenza di una determinata fiala, si deduce che quell’alimento crea stress al nostro fisico e ne siamo intolleranti. L’alimento in questione deve essere eliminato o, meglio ancora, introdotto a rotazione per un periodo limitato di tempo.
5. Biorisonanza e bioelettronica.
Gli strumenti e le metodologie che lavorano sintonizzandosi sulle energie del corpo si chiamano di biorisonanza, perché sfruttano un principio simile a quello dei diapason, o meglio, a quello del sintonizzatore della radio, che, tramite la risonanza, discrimina un determinato segnale tra quelli presenti.
Le tecniche di biorisonanza, che fanno uso dell’elettronica, si chiamano bioelettronica.

Questi sistemi permettono di interagire con le energie dell’organismo, a livello atomico, molecolare, cellulare, di organi e di sistemi, quindi hanno un campo di applicazione vastissimo.
Ad esempio, nei primi decenni del 1900, Kirlian scoprì un metodo per fotografare l’energia, che circonda un essere vivente e osservò due cose interessanti: la prima è che questa si modifica quando l’organismo viene a contatto con un elemento dannoso; la seconda è che, tagliando un pezzo di una foglia, l’energia, per un certo lasso di tempo, resta anche sulla parte mancante, tracciandone il profilo.
Oggi ci sono tanti modi per valutare le variazioni dell’energia di un soggetto, ad esempio la kinesiologia, in cui si misura il cambiamento della forza muscolare.
Cosa significa variazione dell’energia.
Prendiamo una persona, e valutiamo con la kinesiologia la sua resistenza muscolare. Poi accostiamola a qualcosa di dannoso, per esempio un pacchetto di sigarette o un cellulare. La resistenza muscolare crolla, perché il suo campo energetico è stato perturbato.
Nel caso della bioelettronica, la valutazione si fa misurando le variazioni del campo elettrico di una persona.
Il Paziente tiene un elettrodo in una mano, mentre l’operatore misura, con la sonda, varie parti del corpo.

I metodi differiscono per il tipo di misura elettrica (resistenza, impedenza) e per la scelta delle aree considerate.
Ci sono infatti punti ed aree, che, in alcuni casi, coincidono con quelli della Medicina Tradizionale Cinese (agopuntura), che sono in relazione con gli organi e le funzionalità dell’organismo.
Le cose che si possono testare sono migliaia, quindi ogni metodo ha un suo protocollo di guida nella diagnosi.
I test che si fanno più di frequente sono:
• Stato energetico di organi e di funzioni.
• Compatibilità a determinate sostanze.
Quest’ultimo comprende il famoso test delle intolleranze, e serve a verificare se i prodotti e le modalità di assunzione consigliati alla fine del consulto sono corretti.
I limiti della biorisonanza
Una caratteristica comune a tutte le medicine non convenzionali è che dipendono moltissimo dalla persona che le opera, e questa è una delle difficoltà che s’incontra ad inquadrarle scientificamente.
Anche quando si fa uso di macchine di biorisonanza, entrano in gioco fattori come l’influenza reciproca dei campi energetici dell’Operatore e del soggetto sotto test.

Le variazioni d’energia, in un determinato momento sono innumerevoli. Come si fa a “sintonizzarsi” sulla “frequenza” giusta, a valutare l’effetto del glutine invece che di altro elemento? Qui entra in gioco la componente umana.
Nelle medicine convenzionali, nonostante il grande aiuto che i sistemi diagnostici dànno, per prescrivere una cura serve sempre un Medico, una persona che assomma un enorme numero di conoscenze e di abilità.
La biorisonanza va oltre il semplice test.
Se si possono decodificare dei segnali del corpo si possono anche inviare segnali.
L’effetto è molto forte, perché in questo modo agiamo sulla centrale di comando.
La differenza tra l’approccio fisico e quello energetico somiglia a quella tra lo spostare un carrello con la forza muscolare o tramite un pulsante che fa partire il motore.

Ci si chiede allora perché, visto che l’ambiente è carico di segnali, non funzioniamo tutti come automi impazziti.
La risposta è semplice: il nostro organismo accetta solo codifiche ben precise, come un telecomando della TV, che lavora sull’infrarosso, che non si attiva per l’emissione di un fornello.
Tuttavia, i segnali squilibranti arrivano lo stesso, sotto forma di geopatie, disturbi elettromagnetici, eccetera.
La biorisonanza offre strumenti importanti per la salute e l’armonia.
Il suo uso va però integrato in un contesto olistico, che cioè considera l’individuo nella sua completezza.
Non è corretto limitarsi, ad esempio, ad un test delle intolleranze, perché queste sono certamente correlate altri squilibri, che vanno trattati contemporaneamente o subito dopo.
Come sempre, per ogni persona, in un dato momento, la soluzione ottimale richiede l’integrazione dei diversi approcci, dall’oligoterapia alle tecniche energetiche.

6. Test del riflesso cardiaco-auricolare o Pulse test.
Si basa sull’assioma, peraltro scientificamente mai provato, che, se la sostanza, cui il soggetto è allergico, viene posta alla distanza di 1 cm dalla cute, il riflesso auricolare-cardiaco (che viene descritto dall’agopuntura) determina una modificazione del polso radiale. Ciò viene utilizzato per la diagnosi di allergie o intolleranze. Come test, si utilizzano estratti liofilizzati di alimenti, posti in speciali filtri. Con questa tecnica è possibile testare 50 alimenti o altre sostanze chimiche in 15 minuti. Non esiste alcun presupposto teorico scientifico al test, né studi che ne abbiano studiato la validità.
Questa teoria indica che l’allergia o l’intolleranza a un nutriente è in grado di modificare la frequenza cardiaca ed è il principio alla base di questo semplice test, nel quale la frequenza cardiaca viene monitorata in presenza dell’allergene.


Sorprendentemente, il test è ancor oggi proposto e ancor più sorprendentemente alcuni soggetti credono al suo risultato. La dose test allergenica può essere somministrata per iniezione, per bocca o per inalazione. Non è mai stato standardizzato l’intervallo di tempo fra l’applicazione dell’allergene e la successiva modificazione del polso. Tuttavia, una modificazione di almeno 10 battiti/minuto è considerata una risposta positiva, anche se non c’è unanime accordo fra gli esaminatori, se sia significativo un incremento o una diminuzione o entrambe. Peraltro, non esiste, alla luce delle attuali conoscenze patogenetiche delle malattie allergiche, un razionale a questo test.
Non esistono studi che abbiano valutato il test o lo abbiano confrontato con test standard.
Il prof. Antonio Iannetti parla di Celiachia ed Intolleranze, ospite del programma “Che Impresa”
La celiachia, o Morbo Celiaco, è spesso associata a malassorbimento a causa dell’intolleranza al glutine, una proteina comune in molti cibi.