Test assorbitivi per la diagnosi d’intolleranze alimentari
Diagnosi delle intolleranze alimentari
In alcuni casi d’intolleranze alimentari da deficit enzimatico, come nell’intolleranza al lattosio, laddove la dinamica della scissione di questo zucchero è nota, è possibile mettere a punto test assorbitivi, che dimostrino l’intolleranza del Paziente a quel nutriente. I test assorbitivi possono essere breath test o altro tipo di test. Essi possono indicare un’intolleranza del Paziente a quel nutriente, condizione che può essere dovuta ad una patologia e può essere transitoria o definitiva.
Per esempio, anche il dosaggio dei grassi fecali è un test assorbitivo . La positività del dosaggio dei grassi fecali, quando cioè questi sono presenti in eccesso nelle feci, indica un’intolleranza ai grassi, dovuta a un deficit biliare o a un deficit degli enzimi pancreatici.
Questo esame misura la quantità di grassi nel campione di feci. L’eccesso di grassi (chiamato steatorrea) può essere la spia di una una patologia che colpisce la digestione e l’assorbimento dei nutrienti (malassorbimento).

L’organismo digerisce il cibo in tre fasi: dapprima vengono scissi le proteine, i grassi e i carboidrati nello stomaco da acidi ed enzimi e nel piccolo intestino vengono scomposti ulteriormente da enzimi prodotti dal pancreas e dalla bile prodotta dal fegato. Poi sono assorbiti, principalmente nell’intestino tenue, e i nutrienti sono trasportati dal sangue nei vari organi, dove sono usati o immagazzinati.
Se non sono disponibili sufficienti enzimi pancreatici o bile, i grassi e altri nutrienti non vengono digeriti adeguatamente. Se una patologia impedisce all’intestino di assorbire i nutrienti, essi vengono persi con l’escrezione fecale. In entrambi i casi (ingestione o assorbimento inadeguati), il Paziente può avere sintomi associati al malassorbimento e, nei casi gravi, sintomi di malnutrizione e carenza vitaminica. Se la patologia impedisce la digestione e/o l’assorbimento dei grassi con la dieta, l’eccesso di grassi è presente nelle feci e la persona può soffrire di diarrea prolungata con dolori di stomaco, crampi, gonfiore addominale, formazione eccessiva di gas nell’addome e perdita di peso.
Il grasso nelle feci può essere determinato con un test fecale qualitativo, con il quale generalmente si determina la presenza o l’assenza di grasso eccessivo. Questo è il test più semplice per la determinazione del grasso fecale ed è eseguito strisciando su un vetrino una sospensione con le feci trattate o non trattate, aggiungendo un colorante per i grassi e osservando al microscopio il numero di globuli di grasso presenti. Questo test non viene effettuato in tutti i Laboratori, perché oggi la richiesta è bassa e, per indagare patologie pancreatiche, ci si avvale del dosaggio dell’elastasi fecale.
La misura quantitativa di grassi fecali, più precisa, richiede una raccolta delle feci prolungata nel tempo, di solito 72 ore, e l’osservazione di una dieta che aiuti a calcolare l’introduzione di grasso durante tutto il periodo. I risultati sono riportati come quantità di grasso escreto per 24 ore. Una variazione del test è chiamata steatocrito, che consente una più rapida, ma meno accurata misura della quantità di grasso nelle feci.
Altri test assorbitivi sono:
il test alla trioleina con carbonio marcato: l’espulsione nel respiro di 14-CO2, dopo l’ingestione di trioleina marcata con Carbonio 14-C, permette di rilevare, con lo spetto-fotometro, come per il breath test al lattosio, la quantità di Carbonio marcato, indice di mancato assorbimento dei grassi. Il test del respiro con trioleina ha una buona affidabilità, con una sensibilità del 100% e una specificità del 96%. Nel rilevare la steatorrea, il test del respiro con trioleina era moderatamente superiore alla misurazione del carotene sierico e al grasso qualitativo delle feci. Pertanto, il test del respiro con trioleina sembra essere un test di screening sensibile, specifico, non invasivo e relativamente semplice per il rilevamento della steatorrea. Anche questo test viene poco praticato ed è stato in parte abbandonato per scarsa richiesta.
Per le molte altre intolleranze alimentari, il problema della diagnostica di laboratorio è importante e di non facile soluzione.
La diagnosi d’intolleranza alimentare è ancora considerata una diagnosi di esclusione ed è possibile solo dopo aver indagato ed escluso tutte le altre patologie, correlate ai sintomi e l’eventuale allergia al nutriente indagato.
L’indagine diagnostica più utilizzata, per individuare il nutriente responsabile dell’intolleranza alimentare, è quella empirica di eliminare dalla dieta, per due o tre settimane, i cibi sospettati dal Paziente stesso. Poi si reintroducono, uno per volta, i cibi esclusi, e si valuta quale di essi provoca i disturbi. A questo punto, si verifica, con i test diagnostici di Prist e Rast, o, più raramente, con quelli cutanei del Prick test, se è coinvolto il sistema immunitario. In caso positivo, si parla di allergia e non d’intolleranza.
Altri metodi diagnostici.
Oggi esistono anche “test alternativi” per diagnosticare le intolleranze alimentari, che però spesso sono privi di attendibilità scientifica e non hanno dimostrato efficacia clinica. Tra questi, il test citotossico, che si bassa sulla valutazione empirica di modificazioni morfologiche degli elementi corpuscolati del sangue, messi a contatto con i nutrienti indagati.
Un altro test, sempre ematico, basato sul dosaggio delle immunoglobuline, avverse al singolo nutriente, ha una maggiore validità scientifica, anche se è riconosciuto solo in parte dalla Medicina ufficiale.
Uno di questi è il Test FInDER (Food Intolerance Digitalized Elisa Reader), che si basa sulla tecnologia computerizzata ELISA e, attraverso un lettore digitalizzato, individua la presenza di anticorpi IgG verso un kit 50, 92 o 184 alimenti, interpretati come antigeni.

Per meglio dare un’idea della problematica, giova ricordare che la Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC), in occasione di EXPO Milano 2015, ha stilato l’elenco dei test “fasulli” per la diagnosi di allergie e intolleranze alimentari.
Si tratta di 6 test:
1. il test leuco-cito-tossico, che valuterebbe la presenza di intolleranze sulla base della reattività dei globuli bianchi a contatto con gli alimenti;
2. il test del capello;
3. il test della forza, che valuta variazioni della forza muscolare, quando si manipolano alimenti presunti nocivi;
4. il VEGA test, che valuterebbe gli squilibri energetici, causati dall’alimento incriminato;
5. la biorisonanza, che valuterebbe le alterazioni del campo magnetico della persona, indotte dagli alimenti;
6. il pulse test o test del riflesso cardiaco auricolare, che valuta le variazioni della frequenza del polso, a contatto con il nutriente, che si presume generi intolleranza o allergia.
Il prof. Antonio Iannetti parla di Celiachia ed Intolleranze, ospite del programma “Che Impresa”
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