diagnosi allergie alimentari
Non è semplice fare diagnosi di allergie agli alimenti. Spesso i Pazienti si auto-certificano un’allergia, mentre poi, sottoposti alle prove, necessarie per confermare la diagnosi, solo nel 20% dei casi si trova riscontro.
La diagnosi deve basarsi su un’accurata analisi clinica, ricostruendo la tipologia e la storia delle reazioni avverse, approfondendo il tipo di alimento che le avrebbe provocate, valutando se c’è relazione con la quantità introdotta. Un aspetto molto importante è quello del tempo che è intercorso fra l’assunzione dell’alimento e la comparsa dei segni e sintomi. Vanno considerate tutte le manifestazioni cliniche della reazione, non solo quelle dell’apparato gastrointestinale.
Se, dalla raccolta delle informazioni suddette, si può ipotizzare una reazione allergica (mediata dalle IgE) è opportuno indirizzare il Paziente ad un Allergologo, per effettuare gli esami necessari ad individuare il meccanismo e la sostanza responsabile. La diagnosi delle allergie alimentari, mediate dalle IgE, si basa soprattutto sulle prove cutanee (il classico Prick test) e sugli esami ematologici (RAST). Un tipo particolare di prova cutanea, spesso usata nelle allergie alimentari, soprattutto con frutta e verdura, è il “Prick by Prick” (puntura per puntura), nella quale l’ago, che si usa per pungere la cute del Paziente, non viene immerso in un flaconcino, contenente un estratto commerciale dell’alimento, bensì proprio nell’alimento fresco. Le prove cutanee sarebbero gli esami di prima scelta, mentre il RAST può essere effettuato come valutazione di prima istanza o quando la prova cutanea non sia praticabile.

Spesso, per fare diagnosi di allergia alimentare, si ricorre alle “diete di esclusione”. Vengono tolti dalla dieta alcuni alimenti, secondo vari criteri, e, se nel giro di quindici giorni, i sintomi scompaiono, gli alimenti vengono reintrodotti gradualmente, uno alla volta, in modo da ottenere una conferma. Nei casi dubbi, si ricorre alle prove “di scatenamento”: al Paziente viene somministrata la sostanza (alimento o additivo) che si sospetta provochi la reazione allergica e si verifica se essa compare o no. Si tratta di una prova che comporta un certo rischio, per cui deve essere effettuata sotto stretto controllo medico.
Nel caso si sospetti una reattività allergica, che non coinvolge le IgE, gli esami da fare sono di diverso tipo e comprendono esami endoscopici intestinali. La gastroscopia è necessaria per la diagnosi della malattia celiaca o dell’esofagite eosinofila, effettuando biopsie nel duodeno o nell’esofago.
Per la celiachia in particolare è importante non somministrare diete, prima di avere la certezza, perché questo potrebbe compromettere gli accertamenti.
Diagnosi delle allergie alimentari.
Il metodo più semplice ed utilizzato per la diagnosi delle allergie alimentari è l’esame del sangue, con il dosaggio delle IgE totali (Prist) e delle IgE specifiche (Rast). Per il Rast, il Paziente deve precisare, all’atto del prelievo, quali allergeni e nutrienti egli ritiene che possano essere imputati, per i disturbi di cui soffre.

Prist e Rast sono esami del sangue
Si può anche ricorrere ai così detti test alimentari di provocazione, che consistono nell’assumere i nutrienti sospetti e valutare la reazione del Paziente. Questo metodo è pratico, ma sconsigliabile, perché rischioso.
Si possono poi effettuare i test intradermici, inoculando il nutriente nel derma del Paziente, con una siringa ipodermica. Si valuta la reazione cutanea ad ogni nutriente testato e si possono selezionare così i cibi da eliminare dalla dieta, perché sospettati di causare i disturbi gastrointestinali ed allergici, come rinorrea, congiuntivite, asma. Tali test però sono poco specifici, nel senso che si verificano molti falsi positivi, e se ne sconsiglia perciò l’utilizzo.
I test cutanei si effettuano scarificando leggermente la cute e mettendola in contatto con il nutriente da testare. Gli estratti alimentari che si utilizzano non sono standardizzati e questo altera i risultati. È più utile uno skin-test, effettuato direttamente con il cibo fresco, applicato sulla cute scarificata (Prick-by-Prick). Anche qui sono frequenti però i falsi positivi e si deve sempre confermare il risultato con il test alimentare di provocazione.
Un metodo empirico molto adottato, perché economico e non rischioso, è quello della dieta di eliminazione, che consiste nell’eliminare dalla dieta di partenza tutti gli allergeni alimentari più comuni (latte, uova, crostacei, noci, grano, semi di soia e cioccolata). Se i sintomi migliorano, si reintroduce un alimento per volta, per stabilire quale è il responsabile dei fenomeni allergici.
Terapia
La terapia consiste nell’eliminare i cibi ed i nutrienti verificati come allergeni. La desensibilizzazione orale consiste nel reintrodurre a piccole dosi il nutriente responsabile, ma è di dubbia efficacia ed è più indicata nelle forme di intolleranza alimentare, piuttosto che nelle forme di allergia.
Un consiglio utile è quello di riscaldare i cibi, perché questo riduce la loro antigenicità, perché il calore denatura le proteine.
La terapia farmacologica si avvale degli antistaminici e dei cortisonici, che sono da utilizzare nelle fasi acute e sono farmaci da portare sempre dietro per evenienze.
Alimenti responsabili delle reazioni allergiche.
La FAO (Food and Agricolture Organization) e la Commissione Europea hanno elaborato una lista degli alimenti a rischio per allergie alimentari.
Da questo documento, ricavato da vastissimi dati statistici ed epidemiologici, si evince che il 90% delle reazioni allergiche su base alimentare è causato da solo otto alimenti. Questi sono:
il latte. L’allergia alle proteine del latte vaccino è la prima causa di allergia alimentare e colpisce soprattutto i bambini. Quest’allergia può insorgere anche tra le persone impiegate in stabilimenti dove si lavora il latte in polvere. In questi reparti, per evitare la sensibilizzazione, è obbligatorio l’utilizzo della mascherina; questa è un’allergia vera e propria, da non confondersi con la più diffusa intolleranza al lattosio.

Per concessione di medicina360.com : differenza tra allergia alle proteine del latte e intolleranza al lattosio
la soia. È un alimento allergenico e può dare allergia crociata tra la globulina 11S in essa contenuta e la caseina del latte di mucca. Alcuni suoi componenti, come la lecitina e gli idrolizzati proteici, sono utilizzati come additivi alimentari;
l’uovo. L’uovo contiene proteine allergeniche, come ad esempio l’ovoalbumina. Alcune di queste si denaturano con la cottura, perdendo le proprietà allergizzanti. Ecco perché è preferibile mangiare cotti questi alimenti;
il pesce. Questa allergia è frequente nei Paesi scandinavi, dove il merluzzo è tra gli alimenti più usati. Il rischio è maggiore per le persone che lavorano a stretto contatto con questo alimento, ad esempio negli stabilimenti dove si producono farine di pesce. Infatti, mentre a livello intestinale, le immunoglobuline IgA secretorie possono impedire o ridurre l’assorbimento sistemico degli allergeni, con l’azione “di tolleranza”, tale meccanismo di protezione non sussiste a livello respiratorio ed è perciò necessario l’utilizzo di mascherine.
È importante eseguire test diagnostici, per scoprire se si tratta di una reazione pesudo-allergica o di una vera e propria allergia. Infatti, molti pesci e mitili contengono sostanze istamino-liberatrici o sono essi stessi fonte di istamina;
le arachidi e le noci. L’allergia alle arachidi fino a pochi anni fa era un problema limitato agli Stati Uniti d’America, dove se ne fa abbondante utilizzo, ma ora si sta diffondendo anche in Europa;
i molluschi e i mitili. le allergie ai mitili sono quelle più frequenti tra le due specie e colpiscono particolarmente le donne;
il grano. La farina di frumento raramente provoca manifestazioni allergiche. L’allergia al grano non va confusa con la celiachia, che è una patologia auto-immune completamente diversa;
la frutta. Tra la frutta, soprattutto le banane, l’avocado, le castagne, il melone, il kiwi e le fragole possono dare reazioni allergiche o pseudo-allergiche. Tra le verdure, il sedano rappresenta uno degli alimenti più allergenici.
Alcuni frutti ed ortaggi freschi scatenano reazioni allergiche a tipo cross-reattività (o reattività crociata), per cui alimenti diversi possono causare manifestazioni allergiche simili, in quanto contengono antigeni con sequenze amminoacidiche affini. In particolare, gli allergeni presenti in alcuni frutti e ortaggi sono simili a quelli contenuti in alcuni pollini. Ad esempio, le persone allergiche all’ambrosia, possono esserlo anche ai meloni, così come soggetti allergici al polline di betulla manifestano spesso reazioni allergiche alle mele.
Additivi alimentari implicati in reazioni allergiche o d’intolleranza.
Anche gli additivi, presenti negli alimenti, possono causare reazioni allergiche o di intolleranza. I più frequenti sono:
i solfiti, spesso addizionati come conservanti o come antiossidanti, per esempio nei vini, e sono pericolosi per le persone asmatiche;
i salicilati, che sono presenti in alcuni alimenti, come frutta secca, frutti di bosco, arance, uva, erbe aromatiche, vini e liquori, oppure vengono aggiunti come conservanti, per esempio nelle conserve di pomodori. Possono essere causa di forme di orticaria cronica;
la tartrazina, che è un colorante di sintesi, segnalato in etichetta, secondo le normative CEE, con il suo nome o codice E102, e viene addizionato agli alimenti per dare un piacevole colore giallo. È presente in bevande, nelle maionesi e nei budini e può essere causa di orticaria e asma;

l’anidride solforosa, che viene utilizzata per il trattamento dell’uva e dei mosti e che si aggiunge a marmellate, succhi di frutta, aceto, macedonie e insalate;
il rosso carminio, che viene utilizzato nell’industria alimentare, cosmetica e farmaceutica ed ha un potere allergenico riconosciuto.
Allergeni occulti e alimenti transgenici.
Nella preparazione di molti alimenti confezionati si utilizzano altre sostanze o altri alimenti, per le loro proprietà conservanti o emulsionanti o altro. I Pazienti devono perciò controllare le confezioni e le preparazioni, evitando quei prodotti, preparati con additivi, cui essi risultino allergici.
Occorre fare maggiore attenzione all’etichettatura, in quanto la così detta direttiva “allergeni” della Comunità Europea impone alle aziende alimentari di mettere in guardia il consumatore dalla possibile presenza di allergeni. È obbligatorio indicare sulla confezione la provenienza ed indicare anche i prodotti alimentari precedentemente trattati nella stessa fabbrica, per la possibilità che, nell’impianto, possano trovarsi particelle residue allergizzanti, che contaminino il prodotto.
Nella preparazione di alimenti, sostanze e piante transgenici vengono inseriti frammenti di DNA, provenienti da un altro nutriente o da un’altra specie botanica. Può succedere che persone, non allergiche ad un nutriente, abbiano comunque una manifestazione allergica, che può essere dovuta ad un’allergia nei confronti del nutriente, il cui DNA era stato utilizzato per la produzione dell’alimento transgenico.
